Il termine appello deriva dal latino "apellare" che significa "chiedere aiuto". È una parola usata nel contesto giuridico, per definire i mezzi di impugnazione, mediante i quali si chiede che un tribunale annulli o modifichi la sentenza emessa da un altro di gerarchia inferiore, ritenendola iniqua. All'interno della sfera giudiziaria ci sono diverse istanze strutturate gerarchicamente. Ciò significa che la decisione di un tribunale può essere riesaminata da uno di grado superiore. Quando un giudice emette un parere giudiziario, è probabile che vi sia disaccordo da parte di una delle parti coinvolte; Quando ciò si verifica, il più comune è che la parte insoddisfatta presenti il ricorso, chiedendo a un organo superiore di rivedere la sentenza e se ritiene che abbia qualche imperfezione o fallimento, correggerla di conseguenza.
Quando il parere giurisdizionale non accetta alcun ricorso; o il periodo per presentarli è terminato, si chiama giudizio finale.
Coloro la cui risoluzione giudiziaria li riguarda direttamente sono quelli che possono presentare ricorso, quindi chi ha ottenuto quanto chiesto non può fare appello, a meno che non abbia ottenuto il risarcimento del danno.
Le fasi da seguire per presentare un ricorso sono le seguenti: deve essere redatto un documento, in cui vengono espressi i reclami, che la sentenza emessa può causare; deve essere scritto in un linguaggio moderato e astenersi dall'offendere il giudice; in caso contrario verrà applicata una multa.
Il ricorso è considerato espressione del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva. È tanto vero che in Europa gli organismi di difesa dei diritti umani ritengono che se un imputato non avesse la possibilità di appellarsi alla sua condanna, commetterebbe una violazione dei suoi diritti come essere umano e come cittadino.